Il modo più “in” di essere “out”

(scritto il 4/10/2K11 per il concorso “Outlet Shopping Stories″, promosso dal “Festival delle Letterature dell’Adriatico” di Pescara)

Il tempo di aprire gli occhi, e con la complicità di quel poco di luce che riesce a penetrare a fatica nella stanza ogni flebile speranza di svegliarmi in un letto che non sia il mio è puntualmente e impietosamente risolta, come da copione. Poco male, dopotutto ci ho fatto il callo, e soprattutto oggi ho ben altro a cui pensare.
Devo assolutamente smaltire -e in fretta- una colossale sbronza, anzi ben due in una: la sbornia madre difatti a ben vedere altro non è che la cocente delusione per non essere riuscito a conquistare l’agognato trofeo in un premio letterario. Se mi state dando dell’ambizioso, o peggio dell’esibizionista, siete assolutamente fuori strada. Al limite fareste molto meglio a darmi del venale, giacchè avevo partecipato con il solo ed esclusivo obiettivo di entrare in possesso del primo e unico premio in palio: un maledettissimo iPad. L’attuale pesante congiuntura economica della mia sciagurata vita infatti ahimè mal si concilia con l’ampio ventaglio di funzioni che il gadget in questione sarebbe in grado di svolgere per il sottoscritto, da un punto di vista squisitamente professionale, s’intende. E per quanto riguarda il suo presunto prestigio? Beh, probabilmente potrei sfoggiarlo in qualche locale pseudo-cool del maxipaesone in cui vivo, e riuscire così ad attirare l’attenzione di qualche pischella con migliaia di euro indosso, che probabilmente a malapena riesce a parlare un italiano accettabile ma in compenso -vedendomi diteggiare con disinvoltura sull’affascinante lavagnetta luminosa della Silicon Valley- potrebbe individuare un’ipotetica corrispondenza di amorosi sensi col vostro affezionato solo in virtù dell’invidiabile iPhone 6H che scintilla sornione all’interno della sua Vuitton, fremendo per far notare la sua presenza grazie a una suoneria dalla melodia sicuramente raccapricciante, e soprattutto dolosamente impostata ad un volume da festival rock estivo in Olanda. Il tempo di infilarmi in bocca il contenuto di una bustina di aspirina granulare sublinguale e sono sotto la doccia, cercando di domare l’hangover in previsione dell’umiliazione che mi attende: tra poco mi recherò in un notissimo outlet alle porte del centro abitato, dove c’è un negozio hi-tech che vende il maledetto tablet a un prezzo allettante, e soprattutto dove potrò abusare per l’ennesima volta della mia tessera Findomestic. Proprio lei, a cui avevo giurato a me stesso di non ricorrere, sicuro com’ero della mia vittoria. E umiliazione nell’umiliazione, il viaggio della passione si svolgerà utilizzando il trasporto pubblico: la mia vecchia station wagon infatti giace da mesi sotto casa senza assicurazione, e sarà ormai diventata rifugio per homeless (ammesso e non concesso che sia ancora lì).
E’ tardi, niente colazione: dopotutto mi sto recando nel regno del consumismo occidentale per antonomasia, ci sarà pure un cazzo di bar. L’atmosfera sull’autobus è degna di un sobborgo di Londra: solo extracomunitari, qualche anziano e io, certo non più di primo pelo peraltro. Per quanto fautore delle società multirazziali, mi rendo conto che altri punti di contatto con una metropoli non ce ne sono proprio, e complice il residuo di cerchio alla testa mi deprimo ancora di più e ripenso a qualche giorno fa, quando un’amica mi aveva invitato a partecipare a un altro concorso: “ma se non si vince niente!”. Lei carina mi fa presente che si vince la pubblicazione, e io sprezzante: “per farmi scrivere anche poche righe ci vuole almeno un iPod”.
Sceso dal pullman imbocco dunque l’ingresso principale e mi faccio largo nell’informe masnada urlante di primati, accalappiata al pari mio da offerte di ogni genere (solo in apparenza convenienti, naturalmente). Veramente un posto di merda, mi dico entrando nel primo bar che incontro, che proprio varcando la soglia scopro essere attiguo -ironia della sorte- al negozio di elettronica in cui tra poco il mio orgoglio residuo capitolerà definitivamente sotto il peso del capitalismo occidentale. “Che sfigato” penso sorseggiando un the verde con la vodka “non è neanche un Apple Store”. Ma ognuno ha quel che si merita, dopotutto. Pago, esco ed entro nel negozio di fianco: come prevedibile, i desideri della fremente e buzzurrissima clientela si concentrano su oggetti tutt’altro che affascinanti, e quando vedo il sospirato apparecchio dei miei sogni esposto con noncuranza su una lavatrice ultimo grido mi si stringe letteralmente il cuore. In preda a una crisi di coscienza mi passa davanti tutta la mia vita, proprio come dicono che accada quando stai per morire. Mi rivedo di belle speranze negli anni ’90, quando divoravo booklet dei dischi di gruppi grunge famosi e non, sognando di essere un giorno in tournèe con loro negli stadi statunitensi: lì avrei avuto sicuramente con me ogni genere di ritrovato tecnologico (per non parlare dell’atmosfera nel tour bus, e soprattutto dell’ampia scelta di groupies nel backstage) e magari mi sarei potuto candidare anche a qualche trofeo stile “Best Live Sound 2011”, per poi naturalmente vincerlo e assicurarmi così un meritatissimo iPad. Altro che concorsi letterari di provincia, autobus maleodoranti semideserti e finanziarie che un giorno probabilmente verranno a pignorarmi pure il letto (che per giunta, come ho detto in apertura, è regolarmente il mio). Dal drammatico torpore in questione mi scuote provvidenzialmente la vibrazione del mio vecchio Nokia del cazzo -nulla a che vedere con gli smartphone della mela, ovviamente- che mi informa solerte della presenza di ben due messaggi: il primo è un mms del mio amico Fausto immortalante la facciata dell’Electric Ballroom di Londra dove tra poche ore si esibiranno i Melvins, e date le circostanze lo cancello immediatamente. Nel secondo, la mia amica mi informa che il premio letterario da me sprezzantemente irriso in precedenza è stato prorogato di una settimana e hanno inserito in palio un iPad.
Per fortuna ho ancora il numero del radiotaxi in rubrica: crepi l’avarizia, ma soprattutto affanculo l’outlet.
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2 Responses to Il modo più “in” di essere “out”

  1. lici ha detto:

    io lo adoro (forse lui non lo sa) è il migliore, deve vincere!

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